domenica 1 aprile 2007

Occidente e oriente: la verità e la saggezza

di Francois Jullien


Inizierei a parlare partendo da questa questione: saggezza e verità. Questa sera cercheremo un po’ di vedere la differenza tra quello che è il pensiero europeo, quello greco, e il pensiero cinese. Perché mettere il pensiero cinese in confronto a quello greco? Sicuramente perché questo è il pensiero più esterno a quello greco, non dico diverso, dico esteriore, estraneo. Se vogliamo uscire dal pensiero europeo, da questa grande lingua indo-europea, e in questo modo superare l’estremità dei nostri orizzonti, dobbiamo di conseguenza uscire anche dai vari rapporti della storia, i quali ci legano al mondo arabo e al mondo ebreo e ci mettono in comunicazione anche con il sanscrito, dando luogo ad una comune cultura indo-europea.

Rispetto a questo pensiero europeo, che è molto testualizzato, molto commentato, c’è solo la Cina che rappresenta un’antitesi. Questo però mi ricorda anche una formula di Pascal, il grande filosofo e matematico francese del XVII secolo. Pascal infatti diceva, in riferimento alla Cina: qual’è la cosa più credibile, Mosè oppure la Cina? Vedete com’è interessante la formula di questa alternativa: da una parte abbiamo Mosè che vive questa grande avventura religiosa in Europa, quindi il monoteismo, mentre dall’altra non abbiamo un saggio cinese, secondo Pascal, abbiamo la Cina, e questo è uno spazio di pensiero , del quale però non sappiamo quasi nulla. Nella frase di Pascal si coglie una radicale alternativa tra pensiero europeo e pensiero cinese.

Parlerò quindi di verità e di saggezza, e mi soffermerò sul fatto che la saggezza è rimasta nell’infanzia della filosofia, la filosofia invece ha fatto un’altra scelta, quella della verità, quindi è caduta dentro una storia, praticamente la storia della filosofia, cioè la ricerca rinnovata della verità, si è quindi staccata dalla saggezza, saggezza che non è diventata storia e non ha storia. C’è solo il fatto che ogni saggio ha la sua propria storia individuale grazie alla quale perviene alla saggezza. Vi parlo dunque di una sorta di biforcazione che si presenta fin dall’inizio: è la saggezza che troviamo un po’ dappertutto nel mondo delle origini, una sorta di alba della civiltà, mentre il pensiero greco si è staccato da questa origine e si è fissato sulla verità. Faccio riferimento a questo verbo “fissare”, fissarsi sulla verità, nel senso psico-analitico di questo termine, ovvero avere una fissazione, fermarsi, bloccarsi. Vorrei evocare questo stesso argomento in due modi diversi; perché la saggezza cinese non ha avuto accesso alla ricerca della verità? E perché la filosofia si è staccata dalla saggezza fissandosi su questo obiettivo che è la verità? Avrei bisogno dunque di un insieme di esperti per costruire quest’opposizione tra verità e saggezza. Il riferimento è il confronto tra il pensiero dei vecchi tempi in Cina e l’altrettanto vecchio pensiero che c’era in Grecia. Tengo subito a dire che ciò che si legge in Cina è tanto coerente e intelligibile quanto ciò che si legge in Grecia. Devo quindi rifiutare quella sorta di descrizione secondo la quale in Grecia si parlerebbe di ragione, e invece si parlerebbe di intuizione in Cina. Non devo dunque convertirmi passando dalla Grecia alla Cina e non mi devo neanche allontanare o cinesizzare, devo semplicemente essere un po’ paziente. Sappiamo che la filosofia greca è molto variegata, e anche il pensiero cinese si è sviluppato molto nella sua storia ed è altrettanto variegato. Quindi possiamo andare a leggere i testi cinesi, ma dobbiamo leggerli come li hanno letti i cinesi, ovvero con i commenti fatti da loro e non proiettando su questi testi i nostri fantasmi.
Vi sono dunque due pericoli,quello di una percezione euro-centrica, che proietta se stessa sul resto del mondo, e dall’altra parte quello dell’esotismo. Qui abbiamo il fascino della distanza, della differenza: l’altro è lontano, quindi è bello. Da una parte c’è quello che io definisco universalismo facile, in quanto mi sembra di poter disporre fin dall’inizio di categorie universali, invece l’interesse del pensiero cinese è nel fatto che esso rimette in discussione le nostre categorie .Il fatto è che noi facciamo riferimento a qualche categoria universale, ma senza aver fatto la verifica di questa universalità. L’altro discorso invece è l’esatto contrario, è il relativismo puro: questo vuol dire che io bloccherei l’altro nel suo ruolo di altro senza però cercare di far dialogare i due diversi pensieri. Il pensiero cinese per molto tempo si è sviluppato lontano dal pensiero europeo. La domanda allora è: cosa succede al pensiero quando questo si stacca e rompe con la storia della filosofia europea, e anche con la stessa lingua indo-europea che ha generato questa filosofia?

Innanzitutto abbiamo la questione dell’essere. La Cina non ha pensato all’essere, mentre l’essere è la grande scelta centrale della filosofia greca. Mentre in cinese non possiamo nemmeno esprimere il concetto della piccola frase “Pietro è”, possiamo dire “Pietro è grande” o “Pietro c’è”, ma non “Pietro è”. Non possiamo neanche dire “Cos’è”. La questione dell’essenza non è articolabile nel cinese classico. Dio è l’essere, l’entità attorno alla quale abbiamo sviluppato la nostra filosofia europea. La Cina, in epoca arcaica, ha conosciuto un’idea di Dio, in un senso del tutto naturalistico. Dio è la sensazione di qualcosa che dall’alto copre tutto, qualcosa o qualcuno che controlla il mondo di noi essere umani. Circa 3000 anni fa, quindi molto presto nella storia, è prevalsa un’altra nozione in Cina, quella del Cielo. L’alternanza giorno-notte piuttosto che l’alternanza delle stagioni, progressivamente questa nozione ha prevalso sulla nozione di Dio. La Cina non ha lavorato sul concetto di Dio, così come invece il pensiero greco ha lavorato o pro o contro lo stesso concetto. Il terzo punto che non ha sviluppato il pensiero cinese è la libertà. Questo è il grande triangolo su cui si è costituita la filosofia europea, lo zoccolo duro, la base centrale, ovvero: essere, Dio e libertà.

Verità è il quarto termine di cui vi parlo questa sera. Perché il pensiero greco si è fissato su quest’idea di verità, diversamente dal pensiero cinese? La verità era l’asse di sviluppo della filosofia, perché dunque il pensiero cinese non ha sviluppato quest’idea di verità? Sulla base di un principio che chiameremo saggezza, ha fatto a meno della verità. Se ci mettiamo dal lato greco,vediamo che c’è questa storia, che è propria del nostro modo di pensare, dalle prime narrazioni, dal mythos, all’avvenimento della filosofia. La narrazione mitica ha questa caratteristica essenziale, che era ben nota nell’antica Grecia, di essere segnata dall’ambiguità. Il mondo mitico in effetti è molto ambivalente, perché in questo caso le potenze sono doppie, sono sia vere che false, e c’è quindi una sorta di illusione e di liberazione in questo doppio pensiero. In questo mondo del mythos, quello della Grecia arcaica, tutto si sovrappone e si mescola continuamente uno con l’altro, tutto quanto si raddoppia e si associa al proprio contrario. La risposta della filosofia è il principio di non contraddizione, una vera e propria reazione all’ambiguità della narrazione mitologica.

Alla base della ragione, secondo i principi di Aristotele, c’è la distinzione tra questo e quello, tra una cosa e il suo contrario. In effetti non posso dire che la stessa cosa sia questo e non questo, faccio questa divisione tra vero e falso.

La verità riesce a tagliare, a dividere questo concetto. All’interno di quella che è l’ambiguità del mondo, la verità riesce a tagliare, a separare. C’è anche nel pensiero greco, ad esempio in Eraclito, una posizione che si oppone a questo principio di non contraddizione. Eraclito non ci dice dell’uno e dell’altro, ma di come uno è inseparabile dall’altro. Dio è giorno e notte, guerra e pace, sazietà e fame. Dio rappresenta questa inseparabilità. C’è però comunque qualcosa che Eraclito separa, ovvero il discorso,il logos. In questo caso il logos è un discorso di verità, anche per Eraclito, per il quale il mondo è qualcosa di mutevole, di instabile, in continuo divenire, ma è possibile separare dal mondo un elemento che è il discorso, il discorso che viene definito grazie all’esigenza, al bisogno della verità. Questa grande narrazione, questo mythos greco, non è stato sviluppato dalla Cina, la Cina non ha conosciuto questa sorta di ambiguità della narrazione mitica e il passaggio successivo alla verità del logos. Il pensiero cinese si basa su questo: l’uno non è separato o separabile dall’altro, quindi gli opposti sono sempre complementari, è il discorso dello yin e dello yang, una cosa abbastanza comune che conoscete sicuramente tutti.

Questo vuol dire che conoscendo ciò riusciamo a passare da un termine all’altro, da un senso all’altro, dall’opposto di un termine fino al suo complementare. C’è una figura, diciamo, di opposizione tra pensiero e filosofia cinese da una parte e greca dall’altra.

Per quanto riguarda la questione della verità, il pensiero greco ha sviluppato un’idea di esclusione, il vero esclude il falso. C’era quest’ambiguità del mythos originale, un’ambivalenza di vero e falso, ma il fatto di veder emergere questo principio di non contraddizione nell’antica Grecia costituisce una linea di forza della filosofia, che ci ha portato a pensare a un’idea di verità che esclude, ovvero, ripeto, il vero esclude il falso, o l’uno o l’altro. In Cina invece, si pensava dal punto dei vista del processo, nel quale non c’è un’opposizione tra essere e divenire o diventare, è un pensiero che pensa l’uno nell’altro. L’uno nell’altro si distingue dal concetto esclusivo della verità. Saggezza potrebbe anche voler dire pensare l’uno dentro l’altro, e non o l’uno o l’altro.

La parola è il secondo punto di divario, di differenza tra una filosofia e l’altra. C’è differenza, passaggio tra mythos e logos. Mythos è narrazione, logos è pensiero. Si va cioè dalla figura del saggio, molto spesso del re nella Grecia arcaica, all’avvento del filosofo. In questo passaggio noi abbiamo molto spesso una rottura, si passa cioè dall’ambiguità delle prime narrazioni, fino alla verità esclusiva che è quella della filosofia. C’è una cosa però che rimane, che resta, che perdura tra mythos da una parte e logos dall’altra, e cioè il fatto che continuiamo a parlare. C’è questa idea già nei testi in cui si parla e si descrive il mythos in Grecia, cioè che la dea riesce a parlare con gli uomini, ovvero l’idea che ci voglia una bocca che descriva la verità. Nel pensiero greco c’è il concetto del “c’è qualcosa da dire”, e questo si è molto sviluppato. Questo è il sistema per misurare la verità nella Grecia arcaica. Si tratti di un profeta o di un filosofo, l’evidenza è: vale la pena dire.

Su versante cinese, in opposizione a quanto ho appena detto, Confucio un giorno dice: “Vorrei non parlare”. Giustamente gli è stato chiesto: ma se non parla, come farà a raccontare, a insegnare? E Confucio continua e dice: “il cielo forse parla? Le stagioni seguono comunque il loro corso. Tutto ciò che esiste prospera, e quindi che necessità c’è per il cielo allora di parlare?” Questo vuol dire che le esistenze vanno avanti a vivere secondo il loro corso naturale e che questo grande processo del cielo è sufficiente. Questa è una logica di regolazione, la quale è per se stessa sufficiente e non ha bisogno di rivelazione. Intendo la regolazione nel senso dell’alternanza, di giorno e notte, di caldo e di freddo, mentre la rivelazione vuol dire che a questa regolazione si aggiunge un elemento esterno. Nella logica della regolazione, non c’è nessuno bisogno di questo supplemento esterno che appunto è la rivelazione, e questo né da parte del cielo, né da parte del saggio. Quindi non c’è nessuna lezione, nessun messaggio, c’è solo l’ordine naturale. Credo che l’idea di questa saggezza tipicamente cinese consiste nell’immaginare che lo stesso intervento della parola possa essere un ostacolo a questa regolazione naturale, un’ostruzione a questa immanenza. In silenzio io lascio apparire la realtà all’interno della sua evidenza. È per questo che Confucio aspira a non parlare più. Questo non vuol dire che non si fidi della parola, oppure che giudichi il reale come ineffabile, ma semplicemente che per lui la parola è qualcosa di troppo, praticamente che non aggiunge nulla, o meglio ancora che aggiunge qualcosa nel momento in cui non c’è nulla da aggiungere. Ecco perché negli altri testi Confucio non fa mai dei discorsi, non fa che indicare, non fa che cominciare a dire qualcosa. Questo non si trasforma mai in un enunciato né in una lezione, quindi è una sorta di poesia, in quanto non dice, ma allude. Il saggio in questo caso evita di parlare e quindi parla il meno possibile. Questo silenzio però non è ascetico,per potersi concentrare meglio, e non è neanche un silenzio mistico, è piuttosto qualcos’altro, ovvero qualcosa di simile al nostro “no comment”. Mentre, all’inverso, il filosofo europeo discende dalla figura del profeta, ovvero, il filosofo parla, e chi non parla non è filosofo. Quindi c’è filosofia e parola, questa è un’articolazione che è impossibile sciogliere, staccare.

Sempre per approfondire un po’ questo studio del divario che c’è tra filosofia europea - occidentale e cinese dall’altra parte, un valore della filosofia è la verità che esclude, il principio di non contraddizione. Mentre il pensiero cinese ha sempre pensato a ciò che dicevo prima, cioè l’uno dentro l’altro. Poi c’è un secondo punto di opposizione, il filosofo si attacca molto alla parola, non può essere filosofo senza parlare, mentre il saggio preferisce non parlare e quando raggiunge la sua saggezza non ha più bisogno di parlare.

Cerchiamo ancora di approfondire questa differenza. Cerchiamo di capire come questa esigenza di verità è entrata nella filosofia greca. Verità e opinione, è la prima opposizione che vediamo nella filosofia e nel pensiero greco, e che invece non vediamo in Cina. Verità contro opinione, ecco cosa succede nella filosofia greca. Già in Parmenide, ci sono due voci, una è la voce della verità, l’altra voce è l’opinione. Queste due voci non hanno rapporti, si separano inizialmente. Il filosofo è la persona che taglia con le opinioni in modo tale da poter giustificare e parlare della verità. C’è un grande divario in Grecia tra il pensiero dei sofisti da una parte, quelli che rielaborano l’opinione e magari la sfruttano anche, e quella tradizione che da Parmenide passa fino a Platone, ovvero concepire la verità contro l’opinione. C’è ancora una grande differenza tra questo pensiero greco e quello cinese, dove non vediamo nessuna distinzione o differenza tra quello che sarebbe il dominio dell’opinione e quello della verità. Mentre questa opposizione tra verità e opinione, è essenziale in Grecia. In Parmenide l’opposizione di opinione e verità sta a significare l’opposizione del non essere all’essere. Tra essere e verità, per quanto riguarda la Grecia e l’Europa, c’è una sorta di riannodamento, c’è una stretta articolazione, che invece non viene fatta nel pensiero cinese, perché appunto non c’è idea, non c’è pensiero di essere, non si parla né di essenza, né di identità. Cosa vuol dire, quindi, dal lato europeo, pensare alla verità? L’enunciato più comune del pensiero della verità è, come in Aristotele e nella scolastica, l’adeguamento: adeguare la cosa e lo spirito, l’oggetto e il soggetto. Anche i cinesi hanno indubbiamente pensato a questa nozione di adeguamento, ma visto che non c’è l’idea di identità della cosa, hanno pensato di adeguare il nome alla cosa, questo però come adeguamento dura quanto dura la cosa stessa. Questo fa sì che il pensiero di adeguamento non si è mai sollevato al livello della verità.

C’è un punto fondamentale che riguarda questa differenza e ci sto un po’ girando attorno questa sera, qui davanti a voi. La Cina non ha pensato al reale in termini di sostanza o di essenza o di essere. La prima espressione che si impara a dire in cinese, nella Cina di oggi, quella moderna, per dire “cosa” è est-ovest. Invece appunto di dire “cosa”, il cinese esprime una relazione, ovvero una polarità, come quando appunto dico yin e yang. È una tensione mobile delle cose e non una stabilità delle cose. Quando Kant descrive le categorie dello spirito umano, una delle categorie dello spirito e quindi universale e a priori è quella della sostanza. Sapete che sostanza o substantia, è ciò che sta sotto, è la base, l’identità che crea poi la consistenza della cosa. La Cina ha evitato quest’idea di sostanza, ha pensato diversamente. Pensa al reale in termini di tensione, interazione, polarità. Per dire “paesaggio” in cinese, e di nuovo nella Cina moderna, di oggi, devo dire per forza montagne e acqua, così come dico appunto il mobile e l’immobile, ciò che ha forma e ciò che non ha forma, quello che è in alto e quello che è in basso.

Abbiamo un’altra opposizione che ha caratterizzato l’evoluzione della filosofia greca, quella tra apparenza e verità. È noto l’esempio, descritto dallo stesso Platone, del bastone che è conficcato nell’acqua e quindi sembra rotto, spezzato, ma invece non lo è. Qual è in questo caso il punto di vista della filosofia? Bisogna interrogarsi sui sensi e abbandonare per un attimo il piano del sensibile, perché tutti i sensi ci ingannano e, come diceva Platone, bisogna farsi aiutare da un’altra facoltà che è quella della riflessione. Quindi, non c’è fiducia nei confronti del sensibile, per cui ci si allontana da esso. C’è cioè l’idea che i sensi siano limitati e che quindi lo spirito puo’ dare il cambio a questa attività limitata dei sensi, c’è questo dubbio nei confronti del sensibile. A partire da questo, il pensiero greco ha fatto opposizione tra apparenza e verità.

I due presupposti fondamentali dell’esigenza della verità nel pensiero greco sono da una parte l’idea o pensiero di giustizia, e dall’altra il rapporto con la matematica. Nella Grecia arcaica giustizia e verità vanno avanti di pari passo. Il maestro della verità è la persona che pronuncia la giustizia. Tutto questo può sembrarci abbastanza banale se ci mettiamo all’interno di un contenitore di cultura europea attuale, però è proprio questa articolazione di giustizia e verità che non è stata sviluppata in Cina, appunto perché la Cina non ha elaborato un ideale di giustizia. Forse la Cina non ha neanche sviluppato un vero e proprio pensiero o idea di legge, ha sviluppato piuttosto un’idea di punizioni e di ricompense, quindi qualcosa di codificato, senza la scena del processo, cioè la valutazione del pro e del contro, e senza neanche che l’idea di prova potesse sostenere l’ideale di giustizia. Prova che è così importante nella costruzione dell’esigenza della verità in Grecia.

Accanto all’importanza della legge, del diritto, c’è anche quella delle matematiche. Ci sono anche matematici cinesi,ovviamente, che non hanno però sviluppato l’idea e il pensiero di dimostrazione e che non hanno comunque influenzato lo sviluppo del pensiero cinese. In Grecia c’è continua tensione tra filosofia e matematica a partire dalla scuola dei numeri di Pitagora, e questo rapporto si sviluppa fino a Cartesio, che fissa un modello di verità dimostrativa, indiscutibile. Nessun pensatore o saggio cinese si è invece preoccupato delle matematiche. C’è una matematica cinese, che comunque ha un utilizzo limitato, senza diventare ideale del pensiero.
Vado poi ad approfondire questa descrizione dell’esigenza di verità, facendo riferimento alla città greca e al ruolo che vi hanno avuto i due utilizzi diversi del discorso, da una parte l’antilogia, ovvero discorso contro discorso, dall’altra la dialogia, e penso che il pensiero di verità in Grecia abbia a che fare con il punto d’unione tra queste due. È un’idea per noi abbastanza comune, che ha che fare con lo spazio pubblico dell’agorà. Se vogliamo fare un discorso per sottolineare i valori di una certa idea, ci vorrà un discorso opposto per provarne e dimostrarne la verità, è un’idea fondamentale per l’Europa. Fin che non sento un discorso e un contro-discorso non so dove sta il vero. È solo di fronte a questa prova che posso cominciare a dimostrare il valore della verità, fino a tal punto che se parlo io per primo, oppure se parlo anche da solo, penserò a quali obiezioni potranno essere fatte, oppure come potrei controbattere, come, in altre parole, potrei difendere la mia posizione. Penso che la nostra democrazia si fonda proprio su questo. È un’opposizione che vediamo anche inscenata nei dibattiti televisivi. Il nostro mondo sia politico che democratico è stato basato su una opposizione di discorsi. A tal punto che una democrazia funziona bene solo quando abbiamo due discorsi opposti e quando non ci sono più discorsi opposti tra loro, questa comincia a funzionare un po’ meno bene, perché appunto non abbiamo più delle basi grazie alle quali e sulle quali dimostrare la verità. Non so come sia la situazione italiana, ma questo è uno dei problemi francesi di oggi, ovvero la difficoltà di riuscire a pensare con l’opposizione, tramite l’opposizione, e faccio riferimento al campo della politica.

C’è un altro aspetto che ha fondato il senso della parola verità , nel mondo greco,è la dialogia. Posso dire che questo è vero solo se l’altro è d’accordo, ci vuole quindi l’idea, il sentimento dell’altro, le parole dell’altro per andare avanti nel discorso, non sono sicuro e convinto di ciò che ho detto fino a quando l’altra persona con cui sto parlando non lo conferma. È una delle idee principali di Platone. La stessa cosa vale per le dimostrazioni matematiche, così come nel dialogo filosofico. Arrivo alla verità solo se mi associo all’altro che risponde. Il pensiero cinese,al contrario, evita di prendere posizione contro qualcosa: se io prendo una posizione, quindi mi schiero da una parte, perdo l’altra parte e quindi sono nella parzialità. Invece il saggio sarebbe colui che non prende posizione da nessuna parte, in modo tale che non si dovrà rinchiudere e bloccare dentro nessun punto di vista e quindi non perderà nessun aspetto della realtà così facendo. È un’idea abbastanza semplice da spiegare: se sono da una parte non posso contemporaneamente essere anche dall’altra, e quindi per non privarmi di nessuna di queste due parti, la saggezza non si mette da nessuna delle due. Quest’idea è veramente molto radicata e forte in Cina. Chi decide di schierarsi da una parte, perde l’altra e quindi schierandosi non si vedrebbe l’altro lato delle cose, ci si troverebbe bloccati all’interno di un punto di vista, in uno dei due lati, e si perderebbe la cosiddetta globalità della propria voce. Quindi per dire una cosa, come nell’esempio di prima, dico sia est che ovest. Mentre l’Europa ha elaborato la differenza tra il vero e il falso, per la saggezza cinese questa non è una discriminazione che ci illumina, ma una perdita ed è su questa base che si sviluppa una storia senza filosofia, perché la filosofia in qualche modo è sempre schierata da una parte. Aprendo una parentesi, sulla base di quello che ho detto, pensate a quanto la Cina sia lontana dall’idea di democrazia, perché ci insegna a pensare alla posizione senza posizione, che nel suo essere ingloba e comprende tutte le posizioni possibili. Questo ci porta a un tema comune ad ogni saggezza, che è il giusto compromesso, la via di mezzo. Secondo me la Cina ci offre questa idea interessante della saggezza come giusta via di mezzo. Come pensare però in modo più rigoroso a questa via di mezzo? Forse questa giusta via di mezzo vuol dire mettersi al centro, in una posizione equidistante dai due lati esterni? Ciò che è interessante nella posizione cinese è che la via di mezzo non vuol dire evitare gli eccessi e non sbilanciarsi troppo, ma consiste nel potere sia l’uno che l’altro, potersi associare sia con una posizione che con l’altra. Il saggio è la persona che riesce a fare una cosa e anche l’altra, e quindi vive di più e sa più cose perché si associa a entrambe le posizioni. Ciò vuol dire non solamente posizionarsi al centro delle cose, ma riuscire a trarre vantaggio e a capire sia un estremo che l’altro. Quindi è la pienezza del reale, da un polo all’altro, è questo il concetto di via di mezzo cinese. Secondo Confucio tre anni di lutto per la morte di uno dei genitori non sono troppi, e bere del vino a un banchetto senza contare i bicchieri, anche questo non è troppo. Restare veramente nel centro, vuol dire essere aperti da una parte e dall’altra, da un estremo verso l’altro, questa è la saggezza, questa è la via del saggio. L’immagine essenziale in Confucio è ovviamente,detto questo, la bilancia. La bilancia riesce a pendere da una parte o dall’altra. Questa posizione senza posizione ha costituito la base delle argomentazioni dei saggi cinesi. Un pensatore cinese, Mencio, fa riferimento alle due posizioni dell’egoismo da un lato, e dell’altruismo dall’altro. E poi c’è il saggio che sta nel mezzo fra i due, che non si attacca a nessuna posizione perché attaccarsi vuol dire fermarsi, immobilizzarsi. Quando abbiamo studiato i saggi in Cina, si sono posti da un lato coloro che sono intransigenti, i puri, e dall’altro il contrario, quelli più accomodanti,ovvero quelli che sono pronti a sporcarsi le mani per il bene del mondo. Confucio è intransigente o accomodante? Da che lato è? La risposta è che non si schiera da nessuna parte, è sia accomodante o molto accomodante quando è necessario, che intransigente e anche molto intransigente quando è necessario esserlo. Tutto dipende dal momento. È l’opposto dell’imperativo di Kant. Ecco perché non c’è pensiero della verità, perché non c’è nessun enunciato che trascende le situazioni, non ci sono delle lezioni applicabili e valide per tutte le occasioni. Si diceva di Confucio che quando doveva assumere una funzione la assumeva, quando doveva dismetterla, se ne allontanava. Altra immagine che ha caratterizzato la posizione senza posizione del saggio è l’immagine del perno e della porta. Il perno riesce a girare, non prende delle posizioni fisse e praticamente riesce a seguire il movimento della porta a seconda delle necessità. Quindi, il contrario della saggezza non è il falso, ma il parziale. Vi cito un pensatore dell’antichità che diceva che gli uomini possono avere lo spirito accecato da un aspetto particolare, e così lasciano in ombra la logica dell’insieme, questo vuol dire che vedono appunto un lato, un aspetto, e se lo riescono a vedere vuol dire che hanno ragione, però lasciano nell’ombra, al buio, gli altri lati, gli altri aspetti. Se ci concentriamo su un punto non abbiamo una dimensione globale della realtà. Naturalmente conta anche questo punto, però se ci si lascia dominare da lui si resta nella parzialità. Il saggio non è la persona che pensa diversamente rispetto agli altri. A differenza della filosofia europea, il saggio cinese non cerca di pensare diversamente, cerca di pensare come gli altri. Il suo pensiero, cioè, comprende tutti i punti di vista, di modo che i diversi aspetti delle cose non si nascondano gli uni contro gli altri. E sempre con riferimento agli scritti di Confucio, il saggio non si schiera né per né contro, è una sorta di bilancia della via. E terminerò quindi su questo punto, la via.

È un’immagine comune del pensiero, e dappertutto quando si parla di filosofia, quando si parla dei nostri temi essenziali, c’è sempre questa tematizzazione della via, che indica il senso, il cammino del pensiero. Ma anche questo discorso del cammino e della via è diverso tra il pensiero greco e quello cinese. Il cammino, nella filosofia e nel pensiero europeo, lo abbiamo pensato come il cammino che ci porta a qualcosa, ovvero il cammino che ci porta alla verità. Così anche nel cristianesimo la via conduce alla verità e alla vita, conduce ad una realizzazione finale. Il pensiero cinese ha sviluppato anch’esso quest’idea di via, ma non più la via o il cammino che porta a Dio o alla verità, ma la via della saggezza che non porta a niente, in quanto non c’è verità o rivelazione che sia il suo fine, la sua realizzazione finale. Cosa fa quindi la via, il cammino, agli occhi della saggezza?

Non ci porta verso un obbiettivo, ma possiamo passare tramite lei, non smettiamo di poterci passare, di modo che possiamo sempre andare avanti,invece di incagliarci, bloccarci, lasciare che un’ostruzione blocchi il nostro cammino. È questa la via del cielo, che non smette mai di rinnovarsi, come nell’alternanza del giorno e della notte, del caldo e del freddo. Non è la via che porta alla rivelazione, ma è la via della e verso la regolazione. È come nella respirazione, di cui si occupano le diverse arti cinesi, che è importante perché è un’alternanza, è la capacità di passare da uno stato all’altro. C’è dunque la via del cielo, ma c’è anche quella dell’uomo. L’uomo non smette di poter passare, segue la regola del giusto mezzo, senza mai cadere, bloccarsi o incagliarsi nella parzialità. Non è la via verso dove o verso qualcosa, ma è la via, il cammino, grazie al quale si mantiene l’equilibrio, la via che non si blocca, non s’incaglia, ma scorre in avanti. La via verso la saggezza non si immobilizza da nessuna parte e quindi mantiene intere tutte quante le possibilità, le tiene su uno stesso piede di uguaglianza. Proprio come dicevo prima, il saggio è capace sia di ubriacarsi per i troppo bicchieri di vino a un banchetto, sia anche di fare tre anni di lutto.

Un’ultima parola per quanto riguarda il pensiero cinese, non tanto per concludere, ma come commento. In alternativa all’esigenza greca della verità, ovvero quella della filosofia, che costruisce tesi e antitesi, il pensiero cinese ci insegna una sorta di posizione senza posizione:manteniamo l’equilibrio perché siamo in grado di variare sia da un lato che dall’altro e quindi non ci blocchiamo e fermiamo da nessuna delle due parti. Sul piano politico, come possiamo costruire un mondo politico senza parzialità, senza posizione e contro-posizione? Il saggio cinese, proprio per questo, è sempre stato alle spalle , all’ombra del principe, si è sottomesso da sé, e senza contestazione possibile, all’arbitrarietà dei rapporti di forza.
Questo è ciò che ci fa vedere la Cina: la non parzialità del saggio, la sua totale disponibilità a tutte le posizioni possibili, ha impedito di costruire una posizione di indipendenza e di critica nei confronti del potere dominante.

Francois Jullien

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