martedì 10 aprile 2007

La via berlusconiana alla comunicazione politica

di Antonio Lieto


Volenti o nolenti bisogna ammetterlo: l’entrata in scena di Silvio Berlusconi nell’arena politica italiana ha rivoluzionato il modo di fare e di comunicare la politica. E tale metamorfosi è stata alquanto rapida se rapportata ai ritmi lenti che caratterizzano le fasi politiche del mutamento.
Dai tempi della discesa in campo fino alle ultime elezioni, che lo hanno visto sconfitto nonostante una buona rimonta finale, è stato lui, il personaggio clou, la prima donna del teatrino politico della Seconda Repubblica italiana. E’ stato lui che ha calamitato su di sé, indistintamente, l’attenzione dei media, degli analisti politici e dell’uomo della strada. E lo ha fatto perché ha puntato su un cavallo che si è dimostrato vincente: una comunicazione che, pur se discutibile nei contenuti e nei modi in cui essi sono stati palesati (ma non entrerò nel merito di queste due tematiche), ha sempre avuto dalla sua un linguaggio semplice, chiaro, trasparente, non ermetico, radicalmente antitetico rispetto al politichese astruso e settario utilizzato dagli esponenti politici della Prima Repubblica. Berlusconi insomma, e questa è stata la vera intuizione che ha determinato la sua fortuna politica, ha sempre utilizzato un linguaggio comprensibile a tutti, scevro da tecnicismi esasperati e basato sulla componente emozionale.
Come evidenziato da numerosi studi (quello di Fedel in testa), anafora, poliptopo e metabole risultano essere le figure retoriche più utilizzate nell’ambito dell’oratoria berlusconiana. Tutte e tre sono figure della ripetizione. Ed è possibile ritrovarle toutcourt in quello che è stato il suo ultimo discorso di piazza tenuto a Roma il due dicembre scorso (in occasione della manifestazione organizzata dal centrodestra contro il governo Prodi).
In particolare: l’anafora è una tecnica basata sulla ripetizione di singole parole iniziali o di elementi più complessi:

Noi siamo oggi qui, in questa Roma, in questa piazza traboccante di entusiasmo che ha gli occhi del Paese puntati addosso, per motivi chiari: vogliamo mandare a casa un governo che distrugge la fiducia degli italiani nello Stato (…) Siamo qui perché non ci piacciono le vecchie ideologie punitive del secolo scorso (... )Siamo qui perché vogliamo opporci a una cultura che diffida degli individui liberi che non vuole una società prospera e autonoma, capace di camminare sulle proprie gambe. Siamo qui perché non ci piace una mentalità che svaluta la famiglia fondata sul matrimonio e sull’amore tra un uomo e una donna, sull’educazione dei figli alla libertà e alla responsabilità (Roma 2 dicembre 2006 discorso di Silvio Berlusconi).

Il poliptopo, invece, si basa sulla ripetizione delle forme verbali:

Sentiamo intorno a noi il calore di questa nostra comunione politica che ormai da molti anni e per molti anni in futuro, si è fatta e si farà garante della libertà di tutti. La nostra opposizione è, e sarà, severa e intelligente (Roma 2 dicembre 2006)

La metabole, infine, indica la ripetizione della stessa idea per mezzo di parole diverse:

non accettiamo il disprezzo del passato, il disprezzo delle nostre radici, il disprezzo della nostra cultura (Roma 2 dicembre 2006)

Tutte e tre sono tecniche retoriche che facilitano l’ascolto e la memorizzazione del discorso perché basate sulla continua ripetizione di concetti e/o di costrutti sintattico-narrativi. Esse, pertanto, si configurano come elementi strategici centrali della comunicazione politica berlusconiana (che punta al massimo della semplicità espressiva al fine di far emergere un discorso che appaia quanto più possibile spontaneo) .
Un altro elemento “semplificatorio” tipico dell’oratoria berlusconiana è rappresentato dall’utilizzo di costruzioni di periodo basate su strutture sintattiche semplici, con un numero minimo di subordinate incassate tra loro ed un altissimo numero di forme di coordinazione tra frasi. L’utilizzo minimale di subordinate, però, oltre all’obiettivo palese di realizzare una semplificazione discorsiva, sembra rispondere anche ad una precisa scelta strategico-comunicativa: il parlare al cuore piuttosto che alla mente, l’emozionare e non l’argomentare (le subordinate sono le forme di frase tipicamente utilizzate nelle argomentazioni di natura logico-razionale basate sui principi di consequenzialità e non contraddizione degli enunciati).
Il discorso politico di Silvio Berlusconi sembra dunque caratterizzarsi, in alcuni suoi tratti, per la non argomentatività di quanto viene asserito: i meccanismi dell’elencazione e della accumulazione (largamente utilizzati dal Cavaliere e tipici delle costruzioni coordinate) sono infatti legati alla non argomentazione dei punti citati. Poiché elencare non significa argomentare.
Ci sono, però, almeno altri sei aspetti tipici di quella che abbiamo definito “via berlusconiana alla comunicazione politica”. Essi sono (come rilevato in numerosi saggi e ricerche):
1. la simbolizzazione del nemico (nei suoi discorsi c’è sempre un nemico da combattere ben identificabile: sia esso lo spettro comunista, le cooperative rosse o la magistratura politicizzata);
2. la riduzione dicotomica della realtà (già di per se appiattita dalla logica dicotomica che governa il medium principe della comunicazione politica, la TV) in base alla quale non ci sono sfumature o vie di mezzo. Vale la logica kierkegaardiana dell’aut aut;
3. la presentazione delle proprie tesi come le uniche valide: come brillantemente evidenziato da Fedel “Berlusconi non tratta i pro e i contro delle questioni formulando argomenti su entrambi i lati di esse (…) ma articola un discorso che ingigantisce tutti gli argomenti da una parte sola sicché la sua oratoria presenta le tesi porte all’uditorio come le uniche valide”;
4. l’uso del corpo, anche nella sua dimensione simbolica, come vero e proprio elemento di comunicazione. Berlusconi è “l’uomo del lifting”. E’ colui che, con la propria corporeità (intesa in senso lato), ha cercato e cerca di incarnare la figura (improbabile) del giovane settantenne rampante, guascone, pieno di vita e, addirittura, dalla libido sessuale intatta (pensiamo alla vicenda del “rimprovero ufficiale” fatto dalla moglie Veronica Lario al Cavaliere per i suoi atteggiamenti un po’ troppo “giovanilistici”);
5. l'utilizzo strategico e continuativo di alcune parole chiave finalizzato a favorire una immediata associazione mentale tra tali parole e colui che le pronuncia (cioè Berlusconi stesso). Un esempio? Una delle keywords identificative di tutta l’oratoria berlusconiana è la parola "libertà". La menzione esplicita di questo termine in tutti (o quasi tutti) i suoi discorsi si basa, come evidenziato dalla Galli de' Paratesi , su una regola linguistica molto semplice per la quale se in un testo si enuncia in modo esplicito l'esistenza di qualcosa, ciò implica che tale elemento sia un "non dato". In altri termini: la menzione esplicita e incessante, nei suoi discorsi, delle diverse forme di libertà (di pensiero, di espressione, di culto, di impresa ecc) implicherebbe che tali diritti (peraltro tutti costituzionalmente garantiti) non siano tutelati dai suoi avversari politici. Berlusconi, quindi, così facendo, ha cercato (in parte riuscendoci) di “posizionarsi” (con una chiara strategia di marketing politico) nell'immaginario collettivo di una parte dell'opinione pubblica come garante e portatore unico di libertà.
6. l’utilizzo speculativo dei sondaggi come strumenti persuasivi da utilizzare nei confronti della pubblica opinione cercando di sfruttare, a seconda dei casi, il cosiddetto effetto “bandwagon”(che consiste nel “saltare”, da parte dell’opinione pubblica, sul “carro” del candidato o della coalizione che i sondaggi danno per vincitore ) o quello “underdog” (effetto opposto al precedente in base al quale l’opinione pubblica si schiera, a mo’ di protezione, con chi viene dato per perdente dai sondaggi causando, a volte, dei veri e propri ribaltamenti di scenario).
Un ultimo elemento, infine, che da sempre ha caratterizzato la strategia comunicativa berlusconiana, è rappresentato dalla forte preselezione dei partecipanti alle sue assemblee ed adunanze. Berlusconi, nella sostanza, ha sempre parlato ad un pubblico amico (facilitazione non da poco per un oratore) e, altro elemento di particolare rilevanza, senza contraddittorio. La sua comunicazione, quindi, si è da sempre configurata, tipicamente, sotto forma di monologo (probabilmente anche perché, nei pochi momenti in cui è stato “costretto”, da esigenze elettorali, a confrontarsi direttamente con i suoi avversari politici ha sempre mostrato una limitata capacità di argomentare in presenza di contraddittorio. Ad esempio: gli ultimi incontri televisivi con Prodi, che non è certo un maestro in quanto a comunicazione politica, sono terminati in sostanziale pareggio). La scelta del monologo, quindi, si configura come elemento strategico di fondo della comunicazione del Cavaliere. Berlusconi, infatti, sembra in grado di avere una comunicazione efficace solo quando è libero di parlare, quando il suo eloquio può esprimersi come un fiume in piena, senza la presenza di controparti. Un limite, questo, che dovrebbe far riflettere gli spin doctors del centro sinistra i quali dovrebbero cercare di pianificare contromosse comunicative che spingano il Cavaliere ad accettare realmente (e non solo per necessità o per convenienza) e con maggiore continuità il confronto dialettico di cui vive, da sempre, la politica.

Riferimenti bibliografici
E. D’Agostino Il discorso politico di Silvio Berlusconi. Analisi retorica e argomentativa
G. Fedel “Parola mia. La retorica di Silvio Berlusconi“ in “Il Mulino”, 3, 2003, pp. 463-473.
N. Galli de’ Paratesi “La lingua di Berlusconi”, in “Micromega”, 1, 2004, p. 85-98

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