Antonio Lamberti
La genesi dell’attuale dibattito che attraversa gli enti pubblici sulle problematiche organizzative e gestionali, può essere compresa solo ripercorrendo in parallelo il cammino della spinta riformatrice inauguratasi negli anni novanta sotto il profilo normativo e culturale.
Gli ultimi dieci anni del secolo scorso rappresentano sicuramente, sotto questo aspetto e non solo, un decennio veramente cruciale. Sono questi gli anni nei quali viene a maturazione un nuovo modo di concepire i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadini utenti, muta l’equilibrio fra politica e gestione e, di conseguenza, inizia la parabola evolutiva in chiave aziendalistica della Pubblica Ammnistrazione.
Le tappe fondamentali di questo processo possono essere individuate, a mio avviso, in tre momenti fondamentali.
La prima, nel 1990, è segnata dall’entrata in vigore della legge riforma degli enti locali e dalla legge sul procedimento amministrativo. Molto è stato scritto, e pur tuttavia non abbastanza, per sottolineare la portata innovativa di queste due norme (la n. 142 e la 241 del 90) la cui struttura fondamentale, nonostante le successive e ripetute modifiche, rappresenta il terreno sul quale hanno posto le radici e si sono sviluppati i concetti di efficienza efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.
La seconda tappa può essere individuata nella riforma del pubblico impiego: la cosiddetta privatizzazione che, appena qualche anno dopo, esalta il ruolo professionale degli operatori della P.A. e segnatamente della dirigenza la cui responsabilità si estende anche al raggiungimento dei risultati.
Infine occorre fare riferimento alla cosiddette riforme Bassanini che a distanza di poco tempo l’una dall’altra hanno capovolto il sistema dell’organizzazione amministrativa dello Stato ed hanno dato una spallata definitiva ai processi che andavano maturando in quegli anni affrancando la politica dalla gestione che viene affidata agli organi burocratici i quali, da quel momento in poi ne assumono la esclusiva titolarità.
Giunge così al suo punto più alto il tentativo riformatore di neutralizzare e tecnicizzare la gestione portandola fuori dal terreno della politica. Nasce così la categoria della peraltro mai realizzata separazione fra politica e gestione, fra organi politici e organi burocratici.
E’ difficile individuare quale sia stata la molla principale che si trova alla base delle riforme degli anni novanta. La causa principale sicuramente è da ricercare nel forte impatto che hanno avuto i principi comunitari nell’ordinamento giuridico Italiano. Il resto lo ha fatto l’ansia di rinnovamento che si è coagulata intorno alla Pubblica Amministrazione come luogo principale di rigenerazione delle istituzioni anche in seguito alla tempesta che aveva pressoché spazzato via una intera stagione politica.
Indipendentemente dalle cause che sono alla base di questo processo evolutivo, non è difficile comprendere le enormi ripercussioni che questo nuovo modello di pubblica amministrazione ha avuto sulle problematiche organizzative e gestionali. Alcuni esempi possono contribuire a chiarire questo punto:
• Il rapporto fra pubblica ammnistrazione e cittadino non si basa più su poteri autoritativi. Il momento partecipativo viene esaltato, anzi, il cittadino utente diventa il centro dell’attività amministrativa il che significa orientare le proprie strategie verso il cliente utente, interpretarne le esigenze e misurarne il livello di soddisfazione.
• I concetti, di derivazione comunitaria di efficienza, efficacia ed economicità entrano a far parte, a pieno titolo dell’orizzonte cognitivo dell’azione amministrativa. Essi assurgono al rango di principi fondamentali dell’ordinamento. Lo stesso rango del principio di legalità. Ne consegue che non è più sufficiente che l’azione amministrativa sia legittima, occorre anche che essa si svolga con il minor dispendio possibile di risorse e che sia idonea a raggiungere gli obiettivi prefissati al meglio possibile. In altre parole non basta più attivarsi nelle forme e nei modi previsti dalla legge, ma è necessario agire tenendo sotto controllo i costi, pesandoli in rapporto ai benefici ottenuti, cercare la soluzione gestionale migliore, ottimizzare i tempi. La pubblica amministrazione si trova a misurarsi con i problemi gestionali tipici di ogni azienda con l’obiettivo di massimizzare i consensi aumentando il livello di soddisfazione della comunità amministrata.
• Si modifica il rapporto fra organi politici e organi burocratici la politica fissa gli indirizzi, gli organi burocratici si occupano della gestione che assume una esclusiva connotazione tecnica. Il ruolo degli organi burocratici, la loro azione viene pesata, analizzata. Gli stessi parametri salariali si legano al livello della performance effettuata. Il management tecnico e amministrativo assume un ruolo centrale nel nuovo sistema organizzativo che si va delineando. Al dirigente manager vengono assegnate risorse umane e strumentali per raggiungere gli obiettivi prefissati. Il livello di raggiungimento degli obiettivi costituisce un parametro di valutazione.
E’ chiaro che in questo nuovo orizzonte culturale le problematiche gestionali ed organizzative finiscono inevitabilmente per assumere un ruolo centrale rompendo il monopolio che fino a quel momento ha sempre avuto fra gli addetti ai lavori il dibattito tecnico giuridico.
Emblematico di questo cambiamento è, per quel che riguarda gli enti locali, l’introduzione della figura del direttore generale che diventa il centro del sistema organizzativo e finisce per soppiantare un’altra figura, quella del segretario generale, il cui ruolo perde man mano di importanza fino ad essere relegata al compito di consulente della Giuridico della Giunta.
Va da sé che le competenze richieste a questa nuova figura sono innanzitutto di tipo manageriale mentre, per contro, le competenze che erano richieste al segretario generale sono di tipo tecnico giuridico, una sorta di Pico della Mirandola di tutta la copiosa produzione legislativa di settore.
Il dibattito che si è sviluppato nel corso degli anni e l’esperienza maturata non hanno mancato di mettere in luce anche i maggiori punti di criticità che andavano emergendo in questo mutato contesto culturale e che tuttora rappresentano dei nodi fondamentali nel nuovo assetto gestionale ed organizzativo. Primo fra tutti quello del rapporto fra politica e gestione.
A dire il vero la ricerca del difficile equilibrio fra indirizzo politico e gestione fra organi politici e organi burocratici rappresenta la vera peculiarità della problematica organizzativa e gestionale nella pubblica amministrazione; il punto centrale, il passaggio obbligato di ogni soluzione organizzativa.
La criticità di questo tema è testimoniata dalle forti spinte tese a riconquistare il terreno perduto sul piano gestionale attraverso tentativi di assoggettamento della struttura dirigenziale al potere politico o attraverso l’introduzione di forme sempre pià spinte di spoil sistem oppure attraverso la proposizione di ipotesi contrattuali che rendessero sempre più vulnerabile la dirigenza o, infine, attraverso la creazione di una vera e propria struttura parallela a quella tradizionale, reclutata attraverso un uso spregiudicato del ricorso ai contratti a tempo determinato. Una prassi che ha finito per snaturare la ratio che era alla base di questo pur innovativo istituto che consente di conferire a soggetti estranei alla Pubblica Amministrazione incarichi a tempo determinato proprio allo scopo di portare all’interno delle strutture pubbliche quella competenza manageriale di cui si sentiva il bisogno e che tuttora rappresenta ancora un punto debole del back ground tecnico culturale all’interno della pubblica amministrazione.
Il fatto è che la fisiologica mediazione fra l’esigenza gestionale di individuazione della soluzione maggiormente efficace, efficiente ed economica da un lato, e quella politica dall’altro di produzione del consenso non ha trovato il suo punto di equilibrio ad un livello alto, incentrato sulla soddisfazione della collettività amministrata. Molto spesso la mediazione è stata raggiunta ad un profilo molto più basso determinato da un lato dalla sostanziale inadeguatezza professionale degli addetti ai lavori ancora troppo inclini alla logica “dell’adempimento di competenza” e poco pronti a cogliere la nuova sfida che gli veniva avanzata sul piano professionale, dall’altro da una strategia di costruzione del consenso ancora troppo legata alla distribuzione dei privilegi e quindi troppo ancorata al controllo della gestione. Se si dovesse trovare un paradigma di questo modo di intendere la politica negli ultimi anni lo si potrebbe tranquillamente individuare nella visibilità: temine con il quale si può racchiudere un modo di concepire l’azione politica finalizzata alla costruzione del consenso solamente attraverso il lavoro sulla percezione che i cittadini utenti hanno della azione politica e non sugli effetti concreti di quella azione. Ma questo tema ci porterebbe troppo lontani dalla tematica che in questa sede ci interessa affrontare (bisognerebbe scrivere un libro su: la persuasione mediatica ed il blocco della democrazia)
Un altro aspetto delicato emerso in questi anni è l’individuazione di un nuovo equilibrio nelle politiche di gestione del personale in relazione alle forme di incentivazione. Non è che sotto questo aspetto siano mancate le innovazioni. Tutt’altro. L’idea di individuare nuovi strumenti di gestione del personale che incentivassero gli operatori ad abbandonare la cultura dell’atto ed impadronirsi di una logica lavorativa orientata al risultato, ha avuto, per certi versi, anche degli eccessi. La privatizzazione del rapporto e gli istituti contrattuali che ne sono seguiti hanno trasformato la publica amministrazione in un vero e proprio obiettificio con l’assurdo che si è arrivati a stabilire obiettivi perfino per gli uscieri esaltando il dato della performance individuale senza, per contro, alcuna considerazione del risultato complessivo dell’ente o dell’organizzazione nel suo complesso. Insomma le pur encomiabili innovazioni che si sono registrate sul piano del rapporto lavorativo non sono riuscite ancora pienamente ad attivare la leva motivazionale intesa anche come attenzione ai risultati dell’organizzazione nella quale si opera.
Va infine menzionata la grande difficoltà che si è spesso registrata negli enti pubblici di dare impulso ad un meccanismo interno strutturato di controllo strategico e di controllo di gestione. Una delle difficoltà maggiori sotto questo versante va individuata da un lato nella scarsa capacità di programmazione dimostrata sia sul piano strategico che su quello gestionale e, d’altro nella notevole difficoltà di individuare variabili appropriate per monitorare il livello di efficienza e di efficacia delle azioni al di fuori di ogni meccanismo autoreferenziale.
In questo scenario è chiaro che la partita determinante per dare forma concreta alla nuova pubblica amministrazione, nata sotto la spinta dell’avvicinamento all’Europa, si giocherà soprattutto sul terreno organizzativo e gestionale.
Insomma a questo punto ce ne è abbastanza per provare ad invertire il discorso fin qui svolto arrivando ad affermare che non ci può essere riforma della pubblica amministrazione che non passi attraverso l’innovazione sul piano organizzativo e gestionale. Senza questo tassello, ogni sforzo, per quanto encomiabile del legislatore rischia di bloccarsi.
Sotto questo aspetto un contributo determinante può sicuramente arrivare all’adozione nella Pubblica Amministrazione di un modello gestionale orientato ai principi della norma UNI EN ISO 9001.
L’adozione di un modello organizzativo orientato ai principi contenuti in un sistema di qualità conformi alla norma citata, infatti, può contribuire, se non a risolvere, almeno ad affrontare nella giusta dimensione molti dei nodi critici che sono emersi in questi anni sul piano gestionale. L’adozione stessa di un modello gestionale è già di per sé il primo passo per affrontare nella giusta angolatura i problemi gestionali.
Scegliere di applicare un sistema di gestione della qualità alle amministrazioni pubbliche, infatti, significa innanzitutto uscire dall’improvvisazione e cercare di gestire i molteplici problemi gestionali all’interno di un metodo scientifico. Applicare in particolare un modello gestionale conforme alla norma UNI EN ISO 9001, significa, nello specifico, dotarsi degli ingredienti culturali che si richiedono ad una moderna pubblica amministrazione all’altezza del ruolo di volano di sviluppo del sistema paese e delle comunità locali. Significa, in altre parole, guardare l’attività amministrativa come un processo nel quale, dati determinati input ed utilizzando determinate risorse, si giunge ad un prodotto finale.
Questo processo va pianificato, eseguito, monitorato e migliorato, continuamente. Non c’è uno standard soddisfacente, appagante. C’è una filosofia gestionale che consente sempre di tenere sotto controllo la propria performance, di misurarla in base alle esigenze dei destinatari del proprio prodotto/servizio e di intervenire correggendo disfunzioni, eliminare appesantimenti, insomma, rendere sempre più efficiente, efficace ed economica la propria prestazione.
Questo è in estrema sintesi la filosofia di fondo che va applicata con questo modello gestionale. Le implicazioni che scaturiscono dalla sua applicazione finiscono per avere un impatto determinante come si è già avuto modo di sottolineare su tutti i nodi critici della problematica gestionali di un ente pubblico. In altre parole l’applicazione di questo metodo costringe ad affrontare di petto alcuni nodi gestionali emersi nella pubblica amministrazione in questi anni.
Aprirsi ad una logica per processi significa innanzitutto affrontare il problema della programmazione: occorre cioè capire cosa fare, in che modo, con quali risorse.
Tutto questo rende centrale il momento della della negoziazione fra tutti gli oeratori e soggetti coinvolti nel processo decisionale. Obbliga ad un confronto costruttivo sugli obiettivi che si intendono raggiungere; obbliga a trovare un primo momento di sintesi fra politica e management attorno al comune obiettivo di far crescere la qualità e il livello di performance degli uffici pubblici.
La misurazione dei traguardi raggiunti non può più avvenire in questo contesto attraverso valutazioni estemporanee ed autoreferenziali, per misurare i passi avanti compiuti è necessario individuare delle unità di misura, delle variabili che vanno costantemente monitorate per capire gli effetti delle modifiche organizzative in relazione ai risultati che si intendono perseguire. Un focus privilegiato va acceso in relazione alla soddisfazione degli utenti il cui livello di gradimento della qualità dei servizi erogati, rispetto alla qualità attesa, costituisce la bussola fondamentale di orientamento strategico. Lo stesso controllo di gestione che tanta difficoltà ha incontrato all’interno degli enti pubblici fino al punto di non riuscire mai a decollare, troverebbe nuova spinta e alimentazione all’interno di un sistema gestionale orientato alla qualità. Inoltre la misurazione della performance individuale andrebbe contestualizzata in un sistema nel quale al centro dell’attenzone vi è la la misurazione della performance dell’organizzazione creando qual nesso stretto fra rendimento individuale e performance collettiva.
Infine il difficile rapporto fra politica e gestione potrebbe trovare un nuovo punto di equilibrio sulla necessità di convogliare gli sforzi verso un sempre più alto livello di soddisfazione delle aspettative degli utenti o, nel caso degli enti locali, della comunità amministrata. Certo, l’interpretazione dei bisogni della comunità e la traduzione di questa interpretazione in obiettivi strategici verso i quali impegnare le energie, rimane il compito della politica. Tale interpretazione potrebbe, però, essere alimentata da un sistema gestionale poco incline alla gestione del particolare e del particolarismo che nel misurare se stesso mette al centro l’utente finale. Su tale sistema gestionale dovrebbe inoltre modellarsi l’intera cultura amministrativa sia per quanto riguarda il profilo strategico che per quello gestionale.
Ricercare soluzioni organizzative basate sulle esigenze dell’utente, inteso come soggetto fruitore e non come singolo interessato a fruire di un privilegio, significa, infatti, ricercare soluzioni standardizzate basate sulla certezza delle regole e quindi contribuire alla costruzione di una struttura organizzativa basata sulla trasparenza. E’ questa la nuova frontiera che sta sul cammino evolutivo della Pubblica Amministrazione.
E’ questa la nuova sfida allo stesso tempo politica e gestionale. E chissà che da tutto questo non possa scaturirne per la stessa classe politica odierna una nuova linfa, un ulteriore stimolo per orientare la propria attività. Insomma, chissà che sul terreno di una organizzazione manageriale all’altezza dei propri compiti non possa radicare la pianta di una nuova cultura del governo delle istituzioni.