di Alessio Strazzullo
Quando penso alla realtà che mi circonda, quella napoletana, non posso fare a meno di credere che ci sia qualcuno che davvero capisca questa città e il suo modo di trattare i cittadini, quelli che la amano, quelli che la odiano, quelli che vorrebbero andare via e quelli che non lo faranno mai. Napoli non è una città che ti lascia vivere, Napoli si impone come un genitore che con aria severa ti mostra ciò che non deve accadere eppure accade.
Napoli però è un genitore colto, questo non dobbiamo dimenticarlo. Possiamo, lentamente e senza farci vedere, avvicinarci alla sua biblioteca privata e prendere in prestito qualche libro. Possiamo attingere senza freno alcuno e forse provare anche a capire perchè questo genitore sia così severo.
Napoli è un genitore severo si, ma produce cultura. E la parola cultura non viene usata qui solo in senso istituzionale, non faccio riferimento alla cultura ufficiale, quella alla luce del sole, quella pubblicizzata. Nel momento in cui si scrive di cultura ufficiale appare dietro l'angolo il fantasma della cultura non ufficiale, il sottobosco, quel mondo sotto il mondo che ci piace tanto chiamare Underground. Il piacere provato nel pronunciare questa parola è dovuto ad un solo motivo: il volere riconoscere un fenomeno e dargli una sistemazione reale.
Questo è il caso della musica suonata a Napoli e badate bene, non solo dai giovani.
Napoli non è un mondo, Napoli è un insieme di universi. Questi universi tra loro si guardano circospetti, a volte si scontrano, a volte si evitano, a volte semplicemente si fondono. Ci sono universi che brulicano di vita ovunque, in qualsiasi locale in cui si faccia musica dal vivo, nelle nostre strade e a pochi passi dalle nostre case. Occuparsi di questo fenomeno e dei gruppi che ne fanno parte credo sia importante e non solo per la portata di tale fenomeno, ma anche per l'enorme preparazione di alcune band. Per questo motivo l'intento di questa rubrica è tracciare un percorso che tocchi questi universi, li osservi dall'interno, li motivi, e dia magari anche loro la possibilità di spiegarsi e raccontarsi.
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