sabato 3 marzo 2007

Elogio della partecipazione

di Vincenzo Moretti



E se tornassimo a ragionare di politica? Delle opportunità che essa rende disponibili per sottrarsi alla dittatura della necessità, aprire le porte alla dimensione della possibilità, dare senso a ciò che ci accade, ampliare la gamma delle opzioni tra le quali le persone possono effettivamente scegliere?

Una politica fatta di passione, responsabilità, lungimiranza (1), che non è indifferente alla distribuzione della felicità, è attenta a ciò che le persone riescono a essere e a fare effettivamente. Che soprattutto ritiene importanti i diritti, non sottovaluta i rischi del condizionamento sociale e dell’adattamento, non riduce la libertà a un semplice vantaggio, sa stabilire un ordine di priorità nella definizione dei criteri che dicono della riuscita reale e della libertà di riuscire di ciascuno.

Il racconto di donne e di uomini che hanno a cuore un interesse personale o collettivo, un ideale sociale, un progetto di società più felice o anche solo meno ingiusta e intendono operare, per variegate ragioni e motivazioni, con aspettative, tempi e impegno diversi, per vederli realizzati. Persone impegnate a dare senso alle loro vite, che a tale scopo cercano di stabilire connessioni con altri, come loro facenti parte di cerchie, gruppi, comunità, associazioni, sindacati, partiti e, per questa via, tentano di rendere più forti e stabili le reti sociali di cui fanno parte e, con esse, le norme di reciprocità e di fiducia che le sostengono. Persone che non intendono rassegnarsi all’idea della politica come pratica del meno peggio (2), che credono nella possibilità di dare agli altri senza rinunciare ad avere cura e a valorizzare sé stessi (3), che considerano il sapere non solo una delle più significative ricchezze della società contemporanea ma anche una delle opportunità più importanti a nostra disposizione per essere e sentirci liberi e per esercitare la solidarietà con altri esseri, come noi, umani (4).

Il racconto di persone che in sintonia con i propri convincimenti e, soprattutto, con le proprie azioni, ritengono giusto partecipare da attori alla costruzione del discorso pubblico. E di persone che invece no. Perché non hanno più né voglia né fiducia per fare domande alla politica. Perché se proprio sono costretti a farlo si ritrovano a chiedere favori. Perché non hanno più voglia di perdere tempo con gli infiniti paroloni dei teorici dell’eccellenza, e aspirano a vedere riconosciuti dal versante sociale, professionale ed economico gli sforzi di chi, come loro, punta sulla crescita di buone competenze intermedie. Perché vivono la politica come una sommatoria indistinta e poltigliosa di ingredienti diversi che più soggetti solo apparentemente alternativi propongono a cittadini sempre meno interessati a investire tempo, impegno, ingegno, in questa direzione. Ritengono che la discussione, il confronto con punti di vista diversi dai propri, lo sforzo di comprendere le ragioni degli altri, siano esercizi a volte nobili, più spesso ipocriti, sempre inutili. Non credono che le idee, le convinzioni, le azioni individuali possano realmente incidere, nell’ambito della sfera pubblica, sullo stato di cose esistenti.

L'idea è insomma quella di ragionare della natura della politica democratica, di quale ruolo o spazio essa continua ad avere nelle nostre vite, di come cambiano, più specificatamente nella parte ricca del mondo, i soggetti della politica democratica, di come e perché cittadini e cittadine governati possono agire politicamente, nello spazio pubblico, e in che modo sono in grado di scegliere e valutare i governanti. Di rispondere alla domanda fatidica relativa alle ragioni per le quali persone come noi, con i difetti, le delusioni, la confusione, la voglia di vivere, le aspettative di futuro che le contraddistinguono, dovrebbero sentire il dovere di pensare ed agire da cittadini, trovare ragioni e motivazioni per partecipare alla costruzione del discorso pubblico. Di spiegare in che senso e perché è auspicabile che si faccia almeno un passo avanti nella “transizione dal diritto internazionale classico, tuttora ancorato al modello ottocentesco dello Stato – Nazione, ad un nuovo ordine cosmopolitico, di cui dovrebbero diventare attori politici le istituzioni internazionali e le alleanze continentali” (6). E in che modo tutto questo può dare un contributo importante alla costruzione di un mondo senza superstati e senza nazionalismi esasperati.

Ci saranno d’aiuto in questo nostro cammino tanto le domande che riguardano la teoria politica descrittiva, quella che punta, per l’appunto, a descrivere come stanno le cose e non come esse dovrebbero stare alla luce di un qualche criterio, quanto quelle che chiamano in causa i nostri impegni normativi, i nostri criteri del giudizio politico, la nostra idea di società giusta o desiderabile. Incroceremo naturalmente domande più e meno usuali, più e meno complicate: in che senso il concetto di nazione ha perso buona parte del suo significato economico; perché è in campo una questione sociale strettamente connessa ai processi economici che siamo soliti definire globali; perché è importante lasciare tracce; in che senso se non abbiamo futuro diminuiscono le possibilità di connessione con gli altri e siamo più soli; perché rivendicare un mondo nel quale ci siano prima di tutto diritti per tutti non è soltanto una speranza o, peggio ancora, uno slogan.

Ci guiderà nel tentativo mai finito di rintracciare risposte possibili l’idea, sulla quale chi scrive e tornato più volte nel corso degli anni, che nella fase attuale di sviluppo della democrazia nei paesi economicamente sviluppati proprio la partecipazione dei cittadini alla costruzione del discorso pubblico assuma una rilevanza per molte ragioni decisiva. E la consapevolezza che una società possa essere definita più giusta o, meglio, meno ingiusta, se è in grado di favorire processi e progetti di inclusione, tanto dal versante culturale, quanto da quello politico, sociale, economico.

Il nostro punto di vista sarà quello di chi ritiene che esista una connessione forte tra la scarsità di luoghi, strutture, spazi pubblici a disposizione dei cittadini e lo stato di salute delle nostre declinanti democrazie, e da ciò fa discendere la necessità di creare occasioni e di individuare luoghi nei quali le persone si sentano responsabilmente coinvolte, non usate, nei quali sia possibile conoscere, proporre, operare, condividere, verificare opinioni, opzioni, scelte. E’ il punto di vista di chi è convinto che, nelle piccole cose di ogni giorno come nelle occasioni importanti della vita, il rispetto delle regole sia alla lunga la vera scelta razionale, non ideologica, conveniente. In questo meraviglioso e contraddittorio mondo, nel quale se scopri la penicillina nessuno ti conosce e se partecipi ad un reality show rischi di diventare una star, abbiamo ancora tanta strada da fare prima di poter comprendere davvero in che senso e perché “contribuire ad aumentare il capitale sociale vuol dire essere più intelligenti, più sani, più sicuri, più capaci di governare una democrazia giusta e stabile”. (7)

Cercheremo in ogni caso di individuare percorsi che in vario modo possano contribuire a determinare, e rendere credibile, una inversione di tendenza, e di evidenziare alcune esperienze, a nostro avviso molto significative, di istituzioni, movimenti, persone che anche in questi anni difficili non hanno rinunciato a stare in campo. Con il coraggio delle proprie idee e delle proprie scelte. Con la propria testa, il proprio carattere, le proprie mani.
L’auspicio è quello di contribuire anche per questa via all’affermazione, alla valorizzazione e, soprattutto, alla diffusione, di quelle buone pratiche di partecipazione, di cittadinanza e di governo che più hanno prodotto risultati positivi. E di concorrere a delineare i tratti di una società possibile, meno imperfetta, con un più basso indice di sofferenza sociale, nella quale ci si possa ritrovare a vivere, con altri, vite almeno un poco più felici, più serene, meno insoddisfatte.

Per tutte le ragioni fin qui accennate e molte altre ancora, ci accompagnerà nel nostro viaggio la non banale consapevolezza che in politica, così come del resto in tutte le cose della vita, qualunque punto di vista, per quanto autorevole, convincente, condivisibile possa essere, rimane, per l’appunto, soltanto uno dei punti di vista possibili. Che esistono sempre più soluzioni allo stesso problema e tale pluralità di risposte possibili mira, nel migliore dei casi, a ridurre l’ingiustizia e la sofferenza socialmente evitabile e non certo a massimizzare il bene. Che sulle strade della politica non esistono pozzi senza fondo e dunque per fare bisogna scegliere, il che vuol dire sostanzialmente definire ordini di priorità e stabilire criteri di urgenza il più possibile rispondenti o, più realisticamente, il meno possibile divergenti, dai valori, dagli interessi, talvolta dai ceti sociali che si ritiene utile o giusto privilegiare.

Ancora due messaggi prima di procedere oltre, con l’auspicio che possano fare da segnaposto, da promemoria da conservare da qualche parte, ai quali dedicare ogni tanto uno sguardo o una riflessione.
Il primo ci ricorda che l’idea di continuare a pensarsi più intelligenti della generazione precedente e più saggi di quella successiva non è in fondo una grande idea. Che è meglio piuttosto immaginare società nelle quali siano i figli che insegnano ai padri, i bambini agli adulti, gli alunni agli insegnanti. Società che sappiano valorizzare la genialità dei più piccoli, la loro capacità di avere una visione globale delle cose.
Il secondo è di Barry Lopez, che ha scritto che “le storie che raccontiamo alla fine si prendono cura di noi. Se ti arrivano delle storie, abbine cura. E impara a regalarle dove ce n’è bisogno. A volte una persona per sopravvivere ha bisogno di una storia più ancora che di cibo. Ecco perché inseriamo queste storie nella memoria gli uni degli altri. E’ il nostro modo di prenderci cura di noi stessi” (8).
Buona partecipazione.