sabato 26 maggio 2007

Marco Cacciotto. Intervista sul Partito Democratico

di Antonio Lieto

Marco Cacciotto è docente di Marketing Politico presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’ Università di Firenze e di Milano. Consulente e analista politico dal 1994 (uno dei primi in Italia) e membro dell’EAPC (European Association of Political Consultant) è autore del libro “All’ombra del potere. Strategie per il consenso e consulenti politici” (casa editrice Le Lettere). Cura, su “Affari Italiani”, la rubrica ConSenso e scrive regolarmente di marketing e comunicazione politica su Il Sole24Ore.com.

Cominciamo con le domande. All’ultimo congresso dei DS Piero Fassino ha definito il Partito Democratico “una necessità storica per il nostro Paese” ed ha parlato della necessità di un “partito nuovo per un secolo nuovo”. Lei quanto crede che questo nuovo soggetto politico riesca ad interpretare i bisogni, le aspettative, i valori e le esigenze che gli elettori avvertono ai tempi della società liquida?

In una società liquida come quella post-moderna, il PD dovrà dotarsi al più presto di tre bussole: conoscenza, strategia e messaggio. Dovrà conoscere bene profilo e richieste dei suoi elettori reali e potenziali (proverà a conquistare il popolo delle partite Iva?). Dovrà dotarsi di una chiara strategia e definire un messaggio forte che spieghi agli elettori la visione del Paese e perché dovrebbero scegliere il PD e non un altro partito. Infine, come insegna l'esperienza del New Labour, non dovrà dimenticarsi di essere veramente nuovo: a partire dai leader e dal modo di rivolgersi agli elettori.
I primi passi non sono incoraggianti: troppa discussione sulle formule organizzative e poca attenzione ai contenuti ed alle priorità.
Tempo fa ho fatto un piccolo esperimento con un gruppo di miei studenti universitari: ho chiesto loro di scrivere tre parole che potessero identificare l’identità del futuro partito democratico e del futuro partito dei moderati (partito della libertà). Per quest’ultimo, tre parole hanno superato chiaramente il 50% delle indicazioni: libertà, sicurezza e tradizione (con declinazione aggiuntiva famiglia). In totale sono state citate 16 parole.
Per il partito democratico, l’unica parola ad avere quattro indicazioni è stata eguaglianza (più due per equità). Per il resto, nessuna ha superato le due indicazioni con un totale di 26 parole. Nessuno ha detto libertà od opportunità. Fossi nel comitato costituente del PD mi preoccuperei parecchio.

Quanto pesa, in termini di “mercato elettorale”, lo strappo di Mussi e di una una parte dei DS sul progetto del PD?


Da un punto di vista strettamente legato ai punti percentuali la perdita è stimabile attorno al 3%, ma la vera questione è legata al posizionamento del partito democratico. Era inevitabile una perdita a sinistra, ma sarebbe grave se il partito democratico non riuscisse a presidiare il centro. In un recente sondaggio di scenario futuro, condotto da Lorien, il PD era stimato al 27,3%, il Polo di Sinistra all’11,6%, un ipotetico Polo di Centro di ispirazione cattolica al 14%, mentre il Partito delle Libertà era al 30,2% (con una Destra sociale al 6,1%). Inutile dire che, al di là di possibili alleanze con il polo di centro, il PD dovrà competere con l’area di centro attualmente guidata da Casini per poter allargare la sua base di consensi (e, quindi, quella del centrosinistra).

Dal punto di vista strategico sembra abbastanza evidente che la nascita del Partito Democratico stia inducendo i restanti partiti e partitini a prediligere una logica integrativa: i partiti a più vicina “contiguità valoriale” ed ideologica, cioè, cercano di diventare più forti e strategicamente più rilevanti unendosi tra loro. Quale potrebbe essere la nuova configurazione del “mercato” politico in seguito alla nascita del Partito Democratico? (Abbiamo già visto, ad esempio, i primi fermenti nel centro destra in cui si parla del Partito delle Libertà).

Il centrosinistra potrebbe essere composto da due/tre forze principali: il Partito Democratico, una forza di sinistra in grado di mettere assieme Rifondazione, Comunisti Italiani, la sinistra democratica di Mussi e una parte considerevole dei verdi. Una eventuale legge con sbarramento al 5% costringerebbe i Verdi e la costituente socialista ad aggregarsi ad altre forze: una parte con il partito democratico ed una con il polo di sinistra. Vi è spazio teoricamente per una terza forza laica, ma è una operazione rischiosa con uno sbarramento elevato. Molto dipenderà dalla capacità di attrazione del partito democratico. Nasceranno altre forze a sinistra, ma saranno assolutamente marginali.
La condizione per il successo del Partito Democratico è che riesca a diventare così forte da aggregare tutte le forze riformiste e a non perdere pezzi al centro dall'area della Margherita. Per questo deve spostarsi verso il centro e, allo stesso tempo, ridurre al massimo la frammentazione politica. Diventa quindi importante la legge elettorale che potrebbe dare il via ad un totale riallineamento delle forze politiche, ma serve anche una chiara scelta di posizionamento strategico: dove guarderà per le future alleanze il PD, a sinistra o al centro verso un'aggregazione centrista?
Inutile dire che un partito Democratico che si spostasse a sinistra con una collocazione nel socialismo europeo lascerebbe ampio spazio al centro e non sarebbe rappresentativo per gli elettori esclusivamente"ulivisti" e per molti elettori che, più vicini ad una collocazione di centro, sono oggi rappresentati, solo in parte, dalla Margherita.
Nel centrodestra un partito delle libertà composto da Forza Italia e Alleanza Nazionale porterebbe ad un riallineamento: Alleanza Nazionale subirebbe una scissione a destra ad opera di Storace, Forza Italia potrebbe perdere qualche pezzo a favore del partito centrista che è nel progetto di Casini. Il nuovo partito centrista e moderato potrebbe contare, oltre che sull’Udc, sul partito di Mastella, su alcuni esponenti della Margherita e, magari, su Montezemolo. La Lega Nord potrebbe ottimizzare una posizione indipendente attirando i voti antisistema e degli “arrabbiati”.

Quali dovrebbero essere, secondo lei, gli assets comunicativi su cui dovrebbe puntare il Partito Democratico per risultare convincente agli occhi degli elettori?


La nascita del Partito Democratico (e la conseguente aggregazione di forze politiche alla sua sinistra, ma anche al centro e nel centrodestra) può produrre una ventata di novità e la tanto agognata semplificazione dell’offerta politica. Ma l’effetto novità rischia di durare ben poco se non accompagnata da un nuovo modo di parlare agli elettori: servono nuovi leader e forze politiche che siano in grado di proporre identità e piattaforme valoriali solide, che siano capaci di riattivare passioni, e quindi processi di adesione più consistenti, recuperando così la centralità della politica.
Servono segnali forti di discontinuità con il passato.


Una battuta conclusiva. Dopo dieci anni a Down Street Tony Blair, all’eta di 54 anni, ha concluso la sua carriera politica apprestandosi a lasciare il posto al quarantenne leader conservatore David Cameron, in Spagna il premier Zapatero ha 46 anni, le ultime presidenziali francesi hanno visto uno di fronte all’altro il cinquantaduenne candidato neogollista Nicolas Sarkozy (poi eletto presidente) e la cinquaquattrenne candidata socialista Ségolène Royal. In Italia la classe dirigente, invece, stenta a rinnovarsi. Qualcuno, riferendosi alla situazione politica italiana, parla di “gerontocrazia”. Lei, in un recente e provocatorio articolo su “Affari Italiani”, ha avanzato, lanciando un forum, una proposta: politici in pensione oltre i 60 … Come è andata a finire?

Che nel comitato di “saggi” del PD, nonostante la lievitazione a 45 membri, non c’è nessuno sotto i 40 anni e l’età media è di 57 anni.

1 commento:

Antonio Candeliere ha detto...

Il PD a mio avviso non ha futuro e saranno i fatti a confermarlo!