Intervista a Marco Cacciotto sulle elezioni presidenziali USA
di Antonio Lieto
Marco Cacciotto è docente di Marketing Politico presso la Facoltà di Scienze Politiche delle Università di Firenze e di Milano. Consulente e analista politico dal 1994 (uno dei primi in Italia) e membro dell’EAPC (European Association of Political Consultant) è autore del libro “All’ombra del potere. Strategie per il consenso e consulenti politici” (casa editrice Le Lettere). Cura, su “Affari Italiani”, la rubrica ConSenso e scrive regolarmente di marketing e comunicazione politica su Il Sole24Ore.com.
La corsa alla Casa Bianca è iniziata già da un pezzo. Una delle principali peculiarità che sembra caratterizzare questa campagna, già ribattezzata da alcuni “campagna You Tube”, riguarda l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali a fini elettorali. Si pensi, ad esempio, al fatto che i tre principali concorrenti alle primarie democratiche (Hillary Clinton, Barack Obama e John Edwards) hanno annunciato la loro candidatura con un video sul web, oppure al fatto che MySpace (il più grande social network mondiale) ha aperto una nuova sezione dedicata ai candidati delle primarie democratiche e repubblicane con tanto di profili, foto, informazioni personali e contatti. Come può essere letto, a suo avviso, questo dato? La comunicazione politica diventa sempre più web-based?
La Rete è divenuta un modo efficace e relativamente a basso costo per raccogliere denaro, attrarre e mobilitare gli elettori. I partiti possono utilizzare internet per ristabilire legami con gli elettori, recuperando funzioni che, con la crisi dei partiti di massa, si erano trasformate o erano addirittura scomparse. La crisi dei partiti di massa, con il progressivo ridursi della presenza sul territorio e la contemporanea crescita dell’importanza dei media ha, infatti, progressivamente ridotto gli spazi e le occasioni per i partiti di comunicare direttamente con gli elettori.
Attraverso un sito internet i partiti recuperano la capacità di produrre e di controllare i flussi comunicativi, raggiungendo direttamente il destinatario senza l’intermediazione di altri soggetti. Sia che si tratti di comunicazione interna che esterna, partiti e candidati possono godere di opportunità non rintracciabili nell’ambito dei media tradizionali. Internet permette di combinare audio, testo e video senza soffrire delle limitazioni di tempo e spazio che caratterizzano gli altri media.
Attraverso internet i candidati possono diffondere quotidianamente il loro messaggio a più persone di quante siano in grado di incontrare nel loro tour elettorale. Per un candidato, o un partito, è come avere una sede aperta 24 ore su 24, sempre a disposizione di chiunque sia alla ricerca di informazioni o di un contatto. Internet permette una migliore comunicazione con militanti e volontari attraverso la sostituzione della comunicazione gerarchica e frammentata dei partiti, con una comunicazione diretta dalla sede centrale al volontario di una sezione periferica.
Allo stesso tempo può migliorare l’efficacia della comunicazione e dello “spin” nei confronti dei news media: giornali e televisioni sono sempre più dipendenti da internet nella loro ricerca di notizie. La Rete rappresenta, infatti, una facile e veloce fonte per i giornalisti. Le organizzazioni politiche possono, comprendendo questa tendenza, far sì che loro posizioni siano riportate in maniera efficace. Un sito Web ben ideato e gestito può diventare oggetto della copertura di televisioni e giornali amplificandone l’efficacia (come dimostra l’eco avuta dagli annunci sul web da parte di stampa e televisione).
Uno dei confronti che si preannuncia tra i più interessanti sarà, probabilmente, quello per le primarie democratiche tra Hillary Clinton ed il senatore nero Barack Obama. Come hanno condotto, finora, la loro campagna elettorale? E, soprattutto, su quali tematiche l’hanno incentrata?
Dal punto di vista delle issue, la tematica più rilevante è stata fino a questo momento la posizione sulla guerra in Iraq e sul ritiro delle truppe. In realtà la vera questione è l’eleggibilità: Hillary Clinton ha messo in campo una vera e propria macchina da guerra, ma sono in molti a considerarla perdente nelle elezioni generali poiché la sua è una figura che divide. E’ interessante tenere d’occhio Edwards che, come terzo incomodo, potrebbe approfittare dei punti deboli degli altri due contendenti e risultare il candidato migliore per sfidare il candidato repubblicano. Resta poi da valutare il ruolo che Gore vorrà e potrà avere nella campagna per la nomination.
Tra i candidati repubblicani, invece, uno dei favoriti sembra essere l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani. Come lo vede per la corsa alla Casa Bianca?
I Repubblicani stanno ancora cercando il candidato ideale. Giuliani è, in questo momento, il front runner: le sue posizioni non ortodosse su aborto e temi sociali fanno storcere il naso alla base repubblicana, ma lo rendono “votabile” da indipendenti ed elettori democratici attenti al tema “sicurezza”. La vita privata è però una bomba ad orologeria che potrebbe rapidamente far sgonfiare la sua candidatura. Il protagonista del telefilm “Law & Order”, Fred Thompson è un outsider con un grande potenziale.
sabato 26 maggio 2007
Marco Cacciotto. Intervista sul Partito Democratico
di Antonio Lieto
Marco Cacciotto è docente di Marketing Politico presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’ Università di Firenze e di Milano. Consulente e analista politico dal 1994 (uno dei primi in Italia) e membro dell’EAPC (European Association of Political Consultant) è autore del libro “All’ombra del potere. Strategie per il consenso e consulenti politici” (casa editrice Le Lettere). Cura, su “Affari Italiani”, la rubrica ConSenso e scrive regolarmente di marketing e comunicazione politica su Il Sole24Ore.com.
Cominciamo con le domande. All’ultimo congresso dei DS Piero Fassino ha definito il Partito Democratico “una necessità storica per il nostro Paese” ed ha parlato della necessità di un “partito nuovo per un secolo nuovo”. Lei quanto crede che questo nuovo soggetto politico riesca ad interpretare i bisogni, le aspettative, i valori e le esigenze che gli elettori avvertono ai tempi della società liquida?
In una società liquida come quella post-moderna, il PD dovrà dotarsi al più presto di tre bussole: conoscenza, strategia e messaggio. Dovrà conoscere bene profilo e richieste dei suoi elettori reali e potenziali (proverà a conquistare il popolo delle partite Iva?). Dovrà dotarsi di una chiara strategia e definire un messaggio forte che spieghi agli elettori la visione del Paese e perché dovrebbero scegliere il PD e non un altro partito. Infine, come insegna l'esperienza del New Labour, non dovrà dimenticarsi di essere veramente nuovo: a partire dai leader e dal modo di rivolgersi agli elettori.
I primi passi non sono incoraggianti: troppa discussione sulle formule organizzative e poca attenzione ai contenuti ed alle priorità.
Tempo fa ho fatto un piccolo esperimento con un gruppo di miei studenti universitari: ho chiesto loro di scrivere tre parole che potessero identificare l’identità del futuro partito democratico e del futuro partito dei moderati (partito della libertà). Per quest’ultimo, tre parole hanno superato chiaramente il 50% delle indicazioni: libertà, sicurezza e tradizione (con declinazione aggiuntiva famiglia). In totale sono state citate 16 parole.
Per il partito democratico, l’unica parola ad avere quattro indicazioni è stata eguaglianza (più due per equità). Per il resto, nessuna ha superato le due indicazioni con un totale di 26 parole. Nessuno ha detto libertà od opportunità. Fossi nel comitato costituente del PD mi preoccuperei parecchio.
Quanto pesa, in termini di “mercato elettorale”, lo strappo di Mussi e di una una parte dei DS sul progetto del PD?
Da un punto di vista strettamente legato ai punti percentuali la perdita è stimabile attorno al 3%, ma la vera questione è legata al posizionamento del partito democratico. Era inevitabile una perdita a sinistra, ma sarebbe grave se il partito democratico non riuscisse a presidiare il centro. In un recente sondaggio di scenario futuro, condotto da Lorien, il PD era stimato al 27,3%, il Polo di Sinistra all’11,6%, un ipotetico Polo di Centro di ispirazione cattolica al 14%, mentre il Partito delle Libertà era al 30,2% (con una Destra sociale al 6,1%). Inutile dire che, al di là di possibili alleanze con il polo di centro, il PD dovrà competere con l’area di centro attualmente guidata da Casini per poter allargare la sua base di consensi (e, quindi, quella del centrosinistra).
Dal punto di vista strategico sembra abbastanza evidente che la nascita del Partito Democratico stia inducendo i restanti partiti e partitini a prediligere una logica integrativa: i partiti a più vicina “contiguità valoriale” ed ideologica, cioè, cercano di diventare più forti e strategicamente più rilevanti unendosi tra loro. Quale potrebbe essere la nuova configurazione del “mercato” politico in seguito alla nascita del Partito Democratico? (Abbiamo già visto, ad esempio, i primi fermenti nel centro destra in cui si parla del Partito delle Libertà).
Il centrosinistra potrebbe essere composto da due/tre forze principali: il Partito Democratico, una forza di sinistra in grado di mettere assieme Rifondazione, Comunisti Italiani, la sinistra democratica di Mussi e una parte considerevole dei verdi. Una eventuale legge con sbarramento al 5% costringerebbe i Verdi e la costituente socialista ad aggregarsi ad altre forze: una parte con il partito democratico ed una con il polo di sinistra. Vi è spazio teoricamente per una terza forza laica, ma è una operazione rischiosa con uno sbarramento elevato. Molto dipenderà dalla capacità di attrazione del partito democratico. Nasceranno altre forze a sinistra, ma saranno assolutamente marginali.
La condizione per il successo del Partito Democratico è che riesca a diventare così forte da aggregare tutte le forze riformiste e a non perdere pezzi al centro dall'area della Margherita. Per questo deve spostarsi verso il centro e, allo stesso tempo, ridurre al massimo la frammentazione politica. Diventa quindi importante la legge elettorale che potrebbe dare il via ad un totale riallineamento delle forze politiche, ma serve anche una chiara scelta di posizionamento strategico: dove guarderà per le future alleanze il PD, a sinistra o al centro verso un'aggregazione centrista?
Inutile dire che un partito Democratico che si spostasse a sinistra con una collocazione nel socialismo europeo lascerebbe ampio spazio al centro e non sarebbe rappresentativo per gli elettori esclusivamente"ulivisti" e per molti elettori che, più vicini ad una collocazione di centro, sono oggi rappresentati, solo in parte, dalla Margherita.
Nel centrodestra un partito delle libertà composto da Forza Italia e Alleanza Nazionale porterebbe ad un riallineamento: Alleanza Nazionale subirebbe una scissione a destra ad opera di Storace, Forza Italia potrebbe perdere qualche pezzo a favore del partito centrista che è nel progetto di Casini. Il nuovo partito centrista e moderato potrebbe contare, oltre che sull’Udc, sul partito di Mastella, su alcuni esponenti della Margherita e, magari, su Montezemolo. La Lega Nord potrebbe ottimizzare una posizione indipendente attirando i voti antisistema e degli “arrabbiati”.
Quali dovrebbero essere, secondo lei, gli assets comunicativi su cui dovrebbe puntare il Partito Democratico per risultare convincente agli occhi degli elettori?
La nascita del Partito Democratico (e la conseguente aggregazione di forze politiche alla sua sinistra, ma anche al centro e nel centrodestra) può produrre una ventata di novità e la tanto agognata semplificazione dell’offerta politica. Ma l’effetto novità rischia di durare ben poco se non accompagnata da un nuovo modo di parlare agli elettori: servono nuovi leader e forze politiche che siano in grado di proporre identità e piattaforme valoriali solide, che siano capaci di riattivare passioni, e quindi processi di adesione più consistenti, recuperando così la centralità della politica.
Servono segnali forti di discontinuità con il passato.
Una battuta conclusiva. Dopo dieci anni a Down Street Tony Blair, all’eta di 54 anni, ha concluso la sua carriera politica apprestandosi a lasciare il posto al quarantenne leader conservatore David Cameron, in Spagna il premier Zapatero ha 46 anni, le ultime presidenziali francesi hanno visto uno di fronte all’altro il cinquantaduenne candidato neogollista Nicolas Sarkozy (poi eletto presidente) e la cinquaquattrenne candidata socialista Ségolène Royal. In Italia la classe dirigente, invece, stenta a rinnovarsi. Qualcuno, riferendosi alla situazione politica italiana, parla di “gerontocrazia”. Lei, in un recente e provocatorio articolo su “Affari Italiani”, ha avanzato, lanciando un forum, una proposta: politici in pensione oltre i 60 … Come è andata a finire?
Che nel comitato di “saggi” del PD, nonostante la lievitazione a 45 membri, non c’è nessuno sotto i 40 anni e l’età media è di 57 anni.
Marco Cacciotto è docente di Marketing Politico presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’ Università di Firenze e di Milano. Consulente e analista politico dal 1994 (uno dei primi in Italia) e membro dell’EAPC (European Association of Political Consultant) è autore del libro “All’ombra del potere. Strategie per il consenso e consulenti politici” (casa editrice Le Lettere). Cura, su “Affari Italiani”, la rubrica ConSenso e scrive regolarmente di marketing e comunicazione politica su Il Sole24Ore.com.
Cominciamo con le domande. All’ultimo congresso dei DS Piero Fassino ha definito il Partito Democratico “una necessità storica per il nostro Paese” ed ha parlato della necessità di un “partito nuovo per un secolo nuovo”. Lei quanto crede che questo nuovo soggetto politico riesca ad interpretare i bisogni, le aspettative, i valori e le esigenze che gli elettori avvertono ai tempi della società liquida?
In una società liquida come quella post-moderna, il PD dovrà dotarsi al più presto di tre bussole: conoscenza, strategia e messaggio. Dovrà conoscere bene profilo e richieste dei suoi elettori reali e potenziali (proverà a conquistare il popolo delle partite Iva?). Dovrà dotarsi di una chiara strategia e definire un messaggio forte che spieghi agli elettori la visione del Paese e perché dovrebbero scegliere il PD e non un altro partito. Infine, come insegna l'esperienza del New Labour, non dovrà dimenticarsi di essere veramente nuovo: a partire dai leader e dal modo di rivolgersi agli elettori.
I primi passi non sono incoraggianti: troppa discussione sulle formule organizzative e poca attenzione ai contenuti ed alle priorità.
Tempo fa ho fatto un piccolo esperimento con un gruppo di miei studenti universitari: ho chiesto loro di scrivere tre parole che potessero identificare l’identità del futuro partito democratico e del futuro partito dei moderati (partito della libertà). Per quest’ultimo, tre parole hanno superato chiaramente il 50% delle indicazioni: libertà, sicurezza e tradizione (con declinazione aggiuntiva famiglia). In totale sono state citate 16 parole.
Per il partito democratico, l’unica parola ad avere quattro indicazioni è stata eguaglianza (più due per equità). Per il resto, nessuna ha superato le due indicazioni con un totale di 26 parole. Nessuno ha detto libertà od opportunità. Fossi nel comitato costituente del PD mi preoccuperei parecchio.
Quanto pesa, in termini di “mercato elettorale”, lo strappo di Mussi e di una una parte dei DS sul progetto del PD?
Da un punto di vista strettamente legato ai punti percentuali la perdita è stimabile attorno al 3%, ma la vera questione è legata al posizionamento del partito democratico. Era inevitabile una perdita a sinistra, ma sarebbe grave se il partito democratico non riuscisse a presidiare il centro. In un recente sondaggio di scenario futuro, condotto da Lorien, il PD era stimato al 27,3%, il Polo di Sinistra all’11,6%, un ipotetico Polo di Centro di ispirazione cattolica al 14%, mentre il Partito delle Libertà era al 30,2% (con una Destra sociale al 6,1%). Inutile dire che, al di là di possibili alleanze con il polo di centro, il PD dovrà competere con l’area di centro attualmente guidata da Casini per poter allargare la sua base di consensi (e, quindi, quella del centrosinistra).
Dal punto di vista strategico sembra abbastanza evidente che la nascita del Partito Democratico stia inducendo i restanti partiti e partitini a prediligere una logica integrativa: i partiti a più vicina “contiguità valoriale” ed ideologica, cioè, cercano di diventare più forti e strategicamente più rilevanti unendosi tra loro. Quale potrebbe essere la nuova configurazione del “mercato” politico in seguito alla nascita del Partito Democratico? (Abbiamo già visto, ad esempio, i primi fermenti nel centro destra in cui si parla del Partito delle Libertà).
Il centrosinistra potrebbe essere composto da due/tre forze principali: il Partito Democratico, una forza di sinistra in grado di mettere assieme Rifondazione, Comunisti Italiani, la sinistra democratica di Mussi e una parte considerevole dei verdi. Una eventuale legge con sbarramento al 5% costringerebbe i Verdi e la costituente socialista ad aggregarsi ad altre forze: una parte con il partito democratico ed una con il polo di sinistra. Vi è spazio teoricamente per una terza forza laica, ma è una operazione rischiosa con uno sbarramento elevato. Molto dipenderà dalla capacità di attrazione del partito democratico. Nasceranno altre forze a sinistra, ma saranno assolutamente marginali.
La condizione per il successo del Partito Democratico è che riesca a diventare così forte da aggregare tutte le forze riformiste e a non perdere pezzi al centro dall'area della Margherita. Per questo deve spostarsi verso il centro e, allo stesso tempo, ridurre al massimo la frammentazione politica. Diventa quindi importante la legge elettorale che potrebbe dare il via ad un totale riallineamento delle forze politiche, ma serve anche una chiara scelta di posizionamento strategico: dove guarderà per le future alleanze il PD, a sinistra o al centro verso un'aggregazione centrista?
Inutile dire che un partito Democratico che si spostasse a sinistra con una collocazione nel socialismo europeo lascerebbe ampio spazio al centro e non sarebbe rappresentativo per gli elettori esclusivamente"ulivisti" e per molti elettori che, più vicini ad una collocazione di centro, sono oggi rappresentati, solo in parte, dalla Margherita.
Nel centrodestra un partito delle libertà composto da Forza Italia e Alleanza Nazionale porterebbe ad un riallineamento: Alleanza Nazionale subirebbe una scissione a destra ad opera di Storace, Forza Italia potrebbe perdere qualche pezzo a favore del partito centrista che è nel progetto di Casini. Il nuovo partito centrista e moderato potrebbe contare, oltre che sull’Udc, sul partito di Mastella, su alcuni esponenti della Margherita e, magari, su Montezemolo. La Lega Nord potrebbe ottimizzare una posizione indipendente attirando i voti antisistema e degli “arrabbiati”.
Quali dovrebbero essere, secondo lei, gli assets comunicativi su cui dovrebbe puntare il Partito Democratico per risultare convincente agli occhi degli elettori?
La nascita del Partito Democratico (e la conseguente aggregazione di forze politiche alla sua sinistra, ma anche al centro e nel centrodestra) può produrre una ventata di novità e la tanto agognata semplificazione dell’offerta politica. Ma l’effetto novità rischia di durare ben poco se non accompagnata da un nuovo modo di parlare agli elettori: servono nuovi leader e forze politiche che siano in grado di proporre identità e piattaforme valoriali solide, che siano capaci di riattivare passioni, e quindi processi di adesione più consistenti, recuperando così la centralità della politica.
Servono segnali forti di discontinuità con il passato.
Una battuta conclusiva. Dopo dieci anni a Down Street Tony Blair, all’eta di 54 anni, ha concluso la sua carriera politica apprestandosi a lasciare il posto al quarantenne leader conservatore David Cameron, in Spagna il premier Zapatero ha 46 anni, le ultime presidenziali francesi hanno visto uno di fronte all’altro il cinquantaduenne candidato neogollista Nicolas Sarkozy (poi eletto presidente) e la cinquaquattrenne candidata socialista Ségolène Royal. In Italia la classe dirigente, invece, stenta a rinnovarsi. Qualcuno, riferendosi alla situazione politica italiana, parla di “gerontocrazia”. Lei, in un recente e provocatorio articolo su “Affari Italiani”, ha avanzato, lanciando un forum, una proposta: politici in pensione oltre i 60 … Come è andata a finire?
Che nel comitato di “saggi” del PD, nonostante la lievitazione a 45 membri, non c’è nessuno sotto i 40 anni e l’età media è di 57 anni.
sabato 5 maggio 2007
Post Rock
di Alessio Strazzullo
Prima di addentrarci ancora nel mondo delle band emergenti napoletane e campane mi sembra giusto fare una precisazione. Sembra quasi che ogni epoca abbia il proprio genere musicale, o meglio, che in ogni epoca si sviluppi un genere nuovo, o una rivisitazione di generi passati, parallelamente alle “grosse” tendenze, quelle immortali. Così abbiamo visto la catalogazione e l'estenuante ricerca di un'etichetta per ogni venatura di un genere, è stato così per il jazz, è stato così per il metal. Dopo aver riflettuto un po' mi è sembrato di capire che ciò che colpiva maggiormente la mia attenzione musicale (oltre ai generi immortali) fosse un prodotto tipico degli ultimi dieci anni.
Io non amo particolarmente la catalogazione della musica, non credo renda giustizia ai gruppi presi in riferimento, ma esprime bene le motivazioni di determinate scelte e traccia un profilo del contesto in cui determinate band nascono e crescono. Per questo mi è sembrato giusto portare all'attenzione di chi legge tale rubrica l'esistenza del fenomeno “Post Rock”.
Cito Wikipedia: “L'espressione fu coniata da Simon Reynolds in un articolo sul numero 123 della rivista musicale The Wire (maggio 1994) e si riferiva originariamente a gruppi come Stereolab, Disco Inferno, Seefeel, Bark Psychosis e Pram; in seguito il suo significato venne esteso (diventando anche più ambiguo) fino a includere gruppi come Slint, Explosions in the sky, Tortoise o Mogwai.”
Fin qui tutto chiaro, abbiamo una data di inizio e gruppi di riferimento. Ma chi ha ascoltato anche solo per curiosità due dei gruppi in questione sa che è difficile trovare punti d'incontro e esperienze comuni alle band. Cos'è quindi il Post Rock?
Wikipedia prova ancora a darci una risposta.
“L'espressione post-rock indica, in senso ampio, un genere musicale che utilizza una strumentazione rock (chitarra elettrica, basso, batteria) in modo non conforme alla tradizione del rock stesso, attingendo più da altre tradizioni della musica leggera quali soprattutto jazz, musica elettronica, krautrock o simili.”
Per me può essere accettabile, ma solo perché ho bisogno di una definizione. Eppure qualcosa resta sempre non espresso, tutto sommato questa definizione non mi soddisfa pienamente. Riflettendo meglio sulla questione “definizione” mi rendo conto che tutto ciò che mettevo sotto l'etichetta del Post Rock era una serie di dati, emozioni, evocazioni musicali.
La scena “Post Rock” italiana sembra essere in ogni caso relegata all'Underground. Ho cercato e trovato (sempre grazie ad internet) un paio di gruppi interessanti e tre ragazzi che dedicano un intero blog a tutto ciò che può essere racchiuso nel fenomeno “Post Rock”.
Con tranquillità e caparbietà possiamo provare a venirne a capo.
Iscriviti a:
Post (Atom)